Annalisa faceva l’annunciatrice dei treni nella stazione di L. Tutte le mattine sedeva lì, al suo tavolo di lavoro, e cominciava la cantilena degli annunci. La sua attrezzatura era semplice: un microfono e una grossa palla di vetro, in cui Annalisa vedeva arrivare i treni. La direzione le aveva fornito un bellissimo monitor collegato direttamente al computer centrale delle ferrovie, ma Annalisa preferiva la palla di vetro perché, diceva, era molto più affidabile. La sua voce era nasale ma non sgradevole, e risuonava particolarmente limpida nelle nebbiose albe d’inverno, quando annunciava i soliti colossali ritardi dei treni dei pendolari. Questi annunci erano dolorosi per lei, che aveva un cuore gentile, e la facevano soffrire perché sapeva che ognuno di essi le attirava le maledizioni di decine di persone infuriate. Per sua fortuna, però, nessuno poteva riconoscerla, perché quasi nessuno sapeva che faccia avesse. A una voce così nota non corrispondeva un viso, e ogni passeggero si era fatto di lei un’idea diversa. Non si riusciva a capire neanche bene quanti anni avesse.
Vi svelerò un segreto: Annalisa era fra i trentacinque e i quaranta e non era particolarmente attraente. Non si era mai sposata, e viveva con la madre in un appartamentino a due passi dalla stazione, proprio di fronte alla strada ferrata. Dalla sua finestra al primo piano Annalisa vedeva passare i treni alla sua altezza. Erano così vicini che quando si fermavano al segnale, che era proprio lì davanti, lei poteva chiacchierare con i macchinisti.
Guidobaldo era un grosso e vecchio locomotore, serie E636, numero di matricola 003: uno dei primi della serie. Ne aveva viste di tutti i colori da quando, nel 1940, era stato messo in servizio la prima volta. Aveva trainato lunghi treni passeggeri su e giù per tutta l’Italia (all’estero non poteva andare, per via della differente tensione di alimentazione), ma da diversi anni era stato relegato al servizio merci. Guidobaldo non riusciva a capire perché: in fin dei conti treni merci e treni passeggeri andavano più o meno alla stessa velocità, e quelli merci pesavano anche di più... finché un giorno Guendalina gli aveva sussurrato che si trattava di una questione di “lucch”. Lucch? E che era il lucch? No, si pronunciava lucch, ma si scriveva look, all’inglese, diceva Guendalina che, siccome faceva la carrozza letto sul Roma-Parigi, sapeva un sacco di cose. E pazientemente gli aveva spiegato che la direzione non voleva che i vecchi locomotori trainassero treni passeggeri, perché il loro aspetto e il loro colore non andavano d’accordo con quello moderno dei vagoni.
Guidobaldo non riusciva a capire. Ma come, i treni passeggeri erano lerci da far paura, tutti coperti da graffiti orribili, così mal tenuti che rischiavano di perdersi le ruote su ogni scambio, e la direzione si preoccupava dell’aspetto dei locomotori? Erano proprio dei gran cialtroni!
Comunque a Guidobaldo importava poco se il treno dietro di lui era un merci o un passeggeri. C’era solo una cosa che gli dava fastidio, anzi, molto, moltissimo fastidio: i treni merci non venivano mai annunciati. E invece una volta, quando faceva il servizio passeggeri, a ogni stazione c’erano almeno tre annunci per lui: uno quando arrivava, uno cinque minuti prima che partisse e uno quando il capostazione stava per alzare la paletta. Anzi, erano quattro, perché Guidobaldo sapeva che, ancor prima che la sua sagoma imponente si profilasse all’orizzonte, il suo arrivo era già stato annunciato.
Adesso, niente. Al massimo, quando passava accanto a un marciapiede particolarmente affollato, sentiva un “Prestare attenzione al binario sette per treno merci in transito”. Capito? Treno in transito: anonimo, senza una provenienza e senza una destinazione. Una cosa veramente avvilente.
Come tutti i treni, anche Guidobaldo ogni tanto doveva fermarsi al semaforo vicino alla casa di Annalisa. Anzi, siccome tirava un treno merci, talvolta gli toccava fermarcisi molto a lungo. Il suo macchinista per ingannare l’attesa chiacchierava con Annalisa. Lui la trovava simpatica, niente di più. Ma lei, invece, di quell’uomo con due baffoni fuori moda si era proprio innamorata. Non osava confessarlo neppure a se stessa, ma tutte le volte che sapeva che sarebbe passato davanti a casa sua, Annalisa spiava ansiosamente il disco del semaforo, e se lo vedeva rosso correva a mettersi un fiore fra i capelli. Se invece era verde, prendeva il fazzolettone della nonna, pronta ad agitarlo.
Siccome Annalisa era timida, non osava confessare il suo amore al macchinista, che non se ne era accorto. Le cose ormai andavano avanti da qualche mese, e sembrava che non ci fosse nessuna via di uscita: le soste al semaforo erano lunghe, sì, ma non tanto da consentire al discorso di diventare sufficientemente intimo. Poi c’era anche il compagno del macchinista, che di solito leggeva il giornale, ma che insomma era lì, a un passo di distanza... Annalisa era disperata.
Una mattina nebbiosa Annalisa era al lavoro, e cercava di inventarsi ritardi credibili per i treni dei pendolari (non ci azzeccava quasi mai, nonostante la palla di vetro, perché quei treni andavano in una maniera proprio impossibile, ma lei faceva sempre del suo meglio), quando a un certo punto vide profilarsi in lontananza la sagoma inconfondibile di Guidobaldo. Si avvicinava sempre di più alla stazione, già quasi si vedevano i baffoni del macchinista... Annalisa sentiva qualcosa rimescolarsi dentro di lei, e improvvisamente, senza che lei potesse farci niente, dalla bocca le uscì l’annuncio che non pensava avrebbe mai fatto: “Treno merci 867 delle ore otto e ventuno, proveniente da Torino e diretto a Venezia, è in arrivo al binario uno. Treno merci per Venezia in arrivo al binario uno”. Guidobaldo non poteva crederci. Un treno merci annunciato con tutti i crismi, ora, provenienza, destinazione, binario? Era così sorpreso e inorgoglito che gli scattò la valvola della rapida, e il treno, con i freni che fumavano e lanciavano scintille nell’incerta luce della prima mattina, si fermò in uno sferragliare impressionante. Il binario uno era proprio di fronte al gabbiotto dove lavorava Annalisa. La quale, vedendo il treno fermarsi, e sempre senza capire quello che faceva, gettò via il microfono, prese la palla di vetro e con quattro salti fu nella cabina del macchinista proprio mentre Guidobaldo, impettito per la gioia e per l’orgoglio, con un fischio e uno sbuffo si rimetteva lentamente in moto.